La pedagogia Steiner-Waldorf si riconosce per il fatto che l’attenzione principale è data alla cura della relazione umana offerta dalla vivezza dell’incontro.
Ogni maestra che si occupa dei bambini del primo settennio cura la loro vita coltivando il calore fisico e animico intorno al bambino, sostiene la vita di ritmo che permette al bimbo di crescere e formarsi. Grazie alla relazione diretta l’adulto diventa l’esempio che il bambino può imitare e rappresentare nei suoi momenti di gioco. Grazie alla cura che si svolge quotidianamente verso l’ambiente circostante si fanno crescere nel bambino qualità sociali di fraternità e si coltiva il senso di meraviglia e di devozione. Attraverso il “fare” il bambino acquista delle abilità e alimenta non il proprio egoismo, ma l’amore per l’azione.
Ogni singolo insegnante a scuola ogni mattina incontra ogni allievo attraverso lo sguardo e attraverso una stretta di mano: un momento che segna la volontà di un incontro reale. Le singole materie costituiscono il supporto attraverso cui il maestro può far crescere armoniosamente il bambino, curando quelle caratteristiche individuali e facendo in modo che, grazie al lavoro sociale, ognuno possa imparare dall’altro e smussare o rafforzare le proprie debolezze.
Entrando nell’età della scuola superiore i ragazzi hanno al loro fianco adulti preparati in grado di mostrare professionalità. Supportati da una conoscenza necessaria per poter ottenere dei risultati nella vita e nel lavoro imparano ad organizzarsi e a relazionarsi con i compagni e gli adulti che incontrano sul proprio percorso formativo.
Tutto questo oggi, a causa delle disposizioni impartite, è impossibile da attuare. I nostri insegnanti sono costretti a doversi confrontare con quei mezzi che nulla hanno di umano, mezzi che si discostano completamente da quella che è la vera natura dell’uomo. Attraverso questi mezzi si può mantenere un contatto visivo o uditivo, ma non viene permesso di coltivare ed educare il senso dell’io altrui, cioè di cogliere l’altro nella sua interezza. Sono mezzi e come tali vanno utilizzati. Mezzi che non possono e non devono sostituire l’uomo, mezzi che però possono far valorizzare ancor di più quel che manca. Questo modo di mantenere le relazioni e di impartire un sapere diventa difficile, complicato, occupa molto più tempo, rispetto al tempo che il lavoro ha sempre richiesto; vengono tolte forze, ma quel che permette di rigenerarle a nuovo è proprio il ricordo vivo delle esperienze condivise con i bambini e i ragazzi.
I mezzi tecnologici obbligano l’essere umano alla staticità, mentre il bambino del primo settennio è tutto movimento; egli si forma grazie alle proprie forze imitative. Egli imita tutto ciò che sta intorno a lui: gesti esteriori ed interiori, persino le intenzioni. Il mezzo tecnologico è quanto di più distante dalla natura del bambino e da ciò che a lui serve per crescere mantenendo intatte le proprie forze vitali. La narrazione orale e il canto vivo costituiscono uno degli strumenti formativi; il mezzo tecnologico offre una riproduzione vocale, ma non trasmette quel calore e quella relazione ricavata dal contatto diretto.
Nel proseguire il proprio percorso di crescita, anche dopo il periodo del primo settennio, il bambino ha bisogno di questo vivo contatto con l’insegnante che attraverso la propria elaborazione personale creativa degli argomenti da portare e attraverso le attività artistiche come pittura, disegno, modellaggio, canto, euritmia, strumento musicale e lavoro manuale, oltre a trasmettere delle conoscenze, nutre l’anima del bambino. Il mezzo tecnologico non offre questo nutrimento, poiché non permette di coltivare la diretta relazione umana, ma offre solo la possibilità di impartire saperi, alimentando esclusivamente, e anche in malo modo, l’astrattismo e il cognitivismo.
Man mano che il bambino cresce e diventa ragazzo si iniziano a sviluppare in lui le facoltà di giudizio in grado di costituire un domani la sua forza pensante. È sempre attraverso la relazione viva e diretta che il ragazzo può coltivare, oltre ad un sapere, una stima e un’ammirazione verso quegli adulti che, grazie al loro “fare” gli mostrano le grandi potenzialità insite in ogni essere umano. Questa è l’età in cui il “lavorare” insieme ad un progetto getta le basi per un comportamento non solo civile, ma di reale comprensione e apprezzamento dell’altro. Il mezzo tecnologico limita ognuno costringendo a lavorare isolatamente solo in relazione al proprio pc e non permette di coltivare quell’elemento di socialità fonte di vita e di entusiasmo per ciascun essere umano.
La volontà di mantenere la relazione umana tra maestri e allievi, tra maestri e genitori, tra insegnanti e insegnanti, tra genitori e genitori, tra amministratori e insegnanti, cioè tra tutti coloro che compongono la comunità Steiner-Waldorf, è quella forza che consente di andare oltre alla naturale “antipatia” causata dalla mancanza di relazione umana che si può avere verso questi mezzi. Sicuramente cresce il sentimento che quella che viene esposta come necessità per sopperire ad un’emergenza, possa trasformarsi in un’abitudine, in un giustificativo a continuare l’utilizzo di computer e social anche dopo questo periodo.
Qui è la sfida e la grande opportunità di risveglio: riuscire ad utilizzare il mezzo senza esserne usati, sopraffatti. Anche questa può essere vissuta come esperienza per ampliare una conoscenza che ormai molti studi scientifici testimoniano: conoscenza del mezzo; conoscenza dell’effetto che l’utilizzo provoca sul nostro fisico, sulla nostra parte vitale, sul sonno; conoscenza del proprio temperamento; conoscenza e autocoscienza.
Questo evento, questa limitazione della libertà può essere vista e vissuta da insegnanti e genitori come un dono per portare delle riflessioni sul senso della vita, sulla frenesia che non permette di vivere intensamente il presente e sulla responsabilità che ogni adulto ha nei confronti dei bambini e dei ragazzi che ogni giorno animano le nostre scuole.
Zoppè di San Vendemiano, 3 aprile 2020